Campo a 5320 m, alle pendici del Parang La (Ladakh)
Quando si fa trekking al di sopra dei 3000 metri, è importante tener conto degli effetti dell’altitudine sull’organismo. La carenza d’ossigeno nell’aria in alta quota può comportare pericoli anche gravi
per la salute, soprattutto se si guadagna quota troppo in fretta, non lasciando all’organismo
il tempo per acclimatarsi.
Leggete attentamente le indicazioni seguenti, tratte dal libro “Trekking in the Everest Region”,
di Jamie McGuinness. Ai primi sintomi di malessere, non esitate a rivolgervi alla guida!
Verso Concordia (4687 m),
ghiacciaio del Baltoro, Pakistan
Comunemente detto “mal di montagna”, questo disturbo può colpire i trekker al di sopra dei 2500 metri, perché l’organismo ha la necessità di adattarsi alla riduzione dell’ossigeno nell’aria (a 5500 metri, la pressione atmosferica è all’incirca la metà di quella al livello del mare e anche la quantità di ossigeno presente nell’aria che si respira è circa la metà).
L’AMS è perlopiù provocata da un’ascesa troppo rapida a quote elevate, e in casi estremi può risultare fatale se se ne ignorano i segnali d’allarme. Va osservato che a provocare il disturbo non è la quota alla quale ci si trova, ma la velocità di ascesa con la quale vi si è giunti.
Il mal di montagna è in genere prevenibile: basta salire lentamente, lasciando all’organismo il tempo per acclimatarsi. Una semplice regola è quella di cominciare trascorrendo un paio di notti fra i 2000 e i 3000 metri, poi, sopra i 3000, dormire ogni notte 300 m più in alto di quella precedente, con un giorno di riposo ogni 1000 m di ascesa. Ancora meglio se si riesce a trascorrere la notte un po’ più in basso della massima quota raggiunta durante il giorno (ma questo dipende anche dalla conformazione orografica del percorso). In ogni caso, bisogna prestare molta attenzione ai segnali che il corpo ci invia e continuare a salire solo se non compaiono sintomi allarmanti.
Sintomi normali in quota
Non aspettatevi di sentirvi perfettamente bene ad altitudini superiori ai 3000 m, ma in genere non è il caso di preoccuparsi. I seguenti sono i sintomi normali di cui praticamente ogni trekker fa esperienza man mano che il suo organismo di adatta alla carenza di ossigeno:
Sintomi moderati
Anche solo uno dei seguenti sintomi può essere indizio dell’insorgere del mal di montagna:
In altre parole, qualsiasi sintomo che non sia la diarrea o il mal di gola può essere indizio di AMS. Se avete dei dubbi, per prudenza attribuite i sintomi all’altitudine: infatti, se il mal di testa è dovuto a disidratazione un’ulteriore ascesa non ha alcuna controindicazione, ma se la sua origine fosse il mal di montagna, continuare a salire vi esporrebbe a gravi rischi. Poiché non potete stabilire la causa esatta, per ridurre i rischi propendete per quella più grave.
Regola di base: NON SALIRE PIÙ IN ALTO CON QUESTI SINTOMI.
Se avvertite l’insorgere di questi sintomi durante la marcia, fermatevi e riposatevi all’ombra e bevete acqua o altri liquidi. Se i sintomi non scompaiono, non salite ulteriormente; se i sintomi peggiorano, PERDETE QUOTA. Anche solo una modesta perdita di quota (100-300 m) può determinare un notevole miglioramento delle vostre condizioni e della qualità del sonno e del riposo.
Se i sintomi insorgono di notte, a meno che non peggiorino rapidamente e intensamente, aspettate a vedere come vi sentirete al mattino seguente. Se la situazione non migliora dopo colazione, prendetevi un giorno di riposo o cercate di perdere un po’ di quota; se scompaiono, potete proseguire, ma senza acquistare quota né affaticarvi.
È probabile, infatti, che guadagnando ulteriormente quota i sintomi si ripresentino: è bene assumere i necessari rimedi al mal di montagna quando i sintomi sono moderati, perché salendo non si fa che peggiorare la situazione. Ricordate sempre che fare trekking deve essere un piacere, non una sofferenza!
Notate anche che ci vuole un certo tempo perché i sintomi del mal di montagna si facciano sentire, e infatti di solito li si avverte la seconda notte, non la prima, trascorsa in quota.
Sintomi gravi
L’atassia è il segnale più importante del passaggio da mal di montagna moderato ad AMS. Il test più semplice consiste nel provare a camminare in linea retta, un piede esattamente davanti all’altro. Nell’arco di 24 ore l’atassia può anche degenerare in coma seguito da morte.
Regola di base: SCENDERE IMMEDIATAMENTE E RAPIDAMENTE.
Bisogna subito perdere quanta più quota possibile, anche se l’aggravamento avviene di notte. Il paziente deve essere aiutato o trasportato a dorso di cavallo o a braccia. Una volta scesi a una quota di sicurezza deve riposare ed essere visitato da un medico. Le persone colpite da AMS possono perdere la capacità di giudizio e dichiarare di sentirsi bene. Non lasciatevi ingannare!
Concordia 4687 m, Karakorum (Pakistan). Sullo sfondo, il K2 (8611 m) e, a destra, tra le nubi, il Broad Peak (8050 m)
Edema cerebrale (HACE). È la formazione di liquido attorno al cervello. È la causa dei primi quattro sintomi nell’elenco dei sintomi gravi.
Edema polmonare (HAPE). È l’accumulo di liquido nei polmoni e costituisce una condizione di estrema gravità.
Respiro irregolare. L’altitudine influisce sul meccanismo respiratorio dell’organismo. Durante il sonno o il riposo, il corpo riduce l’esigenza di respirare, fino al punto in cui improvvisamente è necessario respirare profondamente per compensare. Il ciclo può comportare alcuni respiri brevi, poi un paio di respiri profondi, poi una pausa in apnea, e così via. È abbastanza comune fra i trekker, soprattutto durante il sonno e in particolare al di sopra dei 5000 metri. Dagli studi in materia non emergono correlazioni con l’AMS.
Gonfiore delle mani, dei piedi, del viso e del basso addome. Da uno studio si rileva che circa il 18% dei trekker manifesta qualche forma di gonfiore, di solito non molto significativo (a ogni buon conto, toglietevi gli anelli) e riguardante soprattutto le donne. A meno che il fenomeno non sia particolarmente grave, non è preoccupante e si può continuare a salire.
Immunosoppressione da altitudine. Alle quote più elevate, tagli e infezioni guariscono molto lentamente, quindi nei casi preoccupanti è meglio perdere quota. Le ragioni del fenomeno non sono del tutto chiare.
Flatulenza. Tipica in alta quota. Poiché non siete dei palloni, l’unica cura è non trattenersi. Nel caso, è un problema del vostro eventuale compagno di tenda!
Diamox (acetazolamide). Disponibile in tutte le farmacie, è un moderato diuretico che acidifica il sangue, stimolando la respirazione. È molto utilizzato alle alte quote per prevenire o ridurre i sintomi del mal di montagna, quindi è bene portarlo con sé. Poiché tuttavia presenta effetti collaterali, soprattutto per persone affette da disturbi renali, è indispensabile consultare il proprio medico di fiducia, che saprà indicare l’opportunità di farne uso e il dosaggio appropriato. Non ci stancheremo di raccomandare una visita presso il proprio medico prima di partire per un trekking in alta quota.
Il processo di acclimatamento
Il ritmo di acclimatamento dell’organismo varia da persona a persona, ma salire in alta quota molto rapidamente e restarvi provoca SEMPRE qualche problema. Ecco perché chi fa trekking non deve aver fretta di portarsi in quota, anche se sovente – a causa dei programmi compressi di molte agenzie – è proprio quello che avviene.
L’organismo impiega poche ore a rendersi conto che vi è meno ossigeno disponibile e la sua prima reazione è quella di accelerare la respirazione (iperventilazione). Questo significa che si introduce più ossigeno (O2), ma anche che si espelle più anidride carbonica (CO2), modificando l’equilibrio O2-CO2, un fenomeno che provoca l’alterazione del pH del sangue.
L’organismo determina la profondità della respirazione in base al pH ematico e questa alterazione può ingannare l’organismo, inducendolo a fissare un ritmo respiratorio inferiore al necessario. Con il passare dei giorni, l’organismo cerca di correggere questo squilibrio eliminando nelle urine del bicarbonato (CO2 in acqua): di qui l’esigenza di bere molto, poiché non si tratta di una sostanza molto solubile. Il Diamox aiuta i reni in quest’operazione e di conseguenza facilita il processo di acclimatamento. Nell’arco di 4-5 giorni, inoltre, l’organismo comincia a produrre più globuli rossi del normale, accrescendo così il numero dei veicoli di ossigeno nel sangue.
La velocità di acclimatamento è soggettiva e dipende sostanzialmente dalla rapidità con cui l’organismo reagisce per compensare l’alterazione del pH del sangue. La durata del processo è variabile, ma normalmente dopo una 4-5 giorni trascorsi in quota senza attività particolarmente faticose o di ascesa lenta da quote basse, l’organismo stabilizza le proprie esigenze di ossigeno e si può procedere con l’ascesa.
Dormire in quota
Alcune persone hanno difficoltà a dormire in un ambiente diverso, soprattutto se cambia tutti i giorni. L’altitudine può aggravare il problema. La rarefazione dell’ossigeno fa sì che alcuni facciano sogni tumultuosi; si aggiungano a questi un po’ di mal di testa o di nausea, un paio di visite alla toeletta, qualche irregolarità di respirazione e il sonno può subire numerose interruzioni. Per fortuna che la stanchezza, il silenzio e la calma della tenda individuale aiutano a superare molte difficoltà.
Appetito
C’è chi in alta quota perde un po’ d’appetito e chi, invece, sente un forte stimolo a mangiare. Il primo sintomo è abbastanza normale durante il processo di acclimatamento, il secondo può essere un buon segno, poiché il consumo d’energia durante il trekking, anche a riposo, è significativamente superiore al normale. Capita spesso, quindi, che per quanto si mangi sempre a sazietà, alla fine ci si ritrovi con un po’ di peso in meno. Per molti, niente male, considerando che di solito questo si accompagna con una forma fisica eccellente.
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