Verso il Nango La (4820 m), Nepal orientale
“
Viste sulla cartina, le tappe giornaliere possono apparire brevi. Ma fra queste montagne non c’è rischio
di annoiarsi. Si sale su quel costone lassù, poi giù giù fino al fiume: c’è sempre da mettere un passo dopo l’altro e qualcosa di nuovo da vedere. Il ciclista forse ama la pianura, ma per chi cammina in montagna
più vario è il percorso, meglio è. La sua meta non è ancora in vista, il punto di partenza è ormai lontano:
così assapora la gioia della distanza che scorre sotto le sue suole.
H.W. Tilman, Nepal Himalaya
”
Per chi non ha mai fatto trekking nelle grandi catene del mondo come l’Himalaya o le Ande, la prospettiva può essere allo stesso tempo entusiasmante e un po’ inquietante. Rispetto per esempio alla Grande Traversata delle Alpi, il percorso da rifugio a rifugio che consente di percorrere l’intero arco alpino, o ai trekking nei Pirenei o in un parco nazionale alpino, fare trekking nella regioni più remote del mondo è un’esperienza totalmente diversa.
I sentieri possono essere antiche vie di pellegrinaggio, costituire i collegamenti tra i villaggi o le mulattiere che conducono ai pascoli d’alta quota dei pastori nomadi. In ogni caso, che si percorra il fondo di una stretta valle lungo un torrente o si attraversino spazi immensi e deserti, ci si muove in un ambiente naturale di incomparabile bellezza, con spesso sullo sfondo o direttamente sopra di noi giganti di oltre 7000 o 8000 metri.
Salendo lungo la valle del fiume Parang (circa 4800 m), Ladakh
Verso il Parang La (5580 m), Ladakh
Campo a Laguna Carhuacocha (4150 m), Cordillera Huayhuash, Ande peruviane
Dal punto di vista pratico, fare trekking appoggiandosi a un’organizzazione è sorprendentemente facile. Si cammina senza la necessità di portare sulle spalle provviste o attrezzatura da campeggio, soltanto un leggero zaino con le cose essenziali per la giornata. Così, il trekking diventa poco più di una piacevole camminata attraverso antichi villaggi o lande desolate, nel cuore delle montagne più imponenti del pianeta.
Esistono numerosissime organizzazioni di trekking, nazionali, internazionali e locali. Quelle nazionali consentono di viaggiare con gruppi formati in Italia, generalmente composti da italiani e con guida italiana: non le abbiamo mai scelte, perché ci pare che tolgano un po’ il gusto dell’avventura e il piacere di immergersi in un ambiente internazionale quando ci si reca in località remote del mondo. Le organizzazioni internazionali più consolidate, di solito anglosassoni vista la lunga tradizione di viaggi ed esplorazioni di questi popoli, garantiscono in genere servizi di buona qualità, ma a prezzi solitamente piuttosto alti: forniscono una guida di lingua inglese appartenente all’organizzazione, ma per la logistica si appoggiano a organizzazioni locali, decurtandone ovviamente i guadagni. Noi ci siamo sempre rivolti a organizzazioni locali, dopo un’accurata ricerca su Internet, per cogliere anche l’opportunità di contribuire direttamente all’economia locale. Molto spesso i trekking si svolgono in località del Terzo mondo (India, Nepal, Perù, Africa) e per molti operatori locali – dagli organizzatori, alle guide, ai portatori – la breve stagione dei trekking può essere l’unica possibilità di produrre un reddito.
La soddisfazione del trekking, come sa chi è abituato a camminare in montagna, sta nel procedere: le giornate di marcia – tranne casi particolari – non sono particolarmente lunghe e c’è tutto il tempo per ammirare il panorama, osservare la natura, scattare fotografie, chiacchierare e rilassarsi a pranzo o davanti a una buona tazza di tè.
Fare trekking sembra in regioni “esotiche” e remote sembra – anzi, è – idilliaco, ma non mancano le sfide: per chi lo prende un po’ troppo alla leggera, anzitutto la fatica fisica. I primi giorni possono apparire brevi e poco faticosi, ma a poco a poco ci si rende conto che camminare un giorno dopo l’altro richiede una certa resistenza. Ma alla fine avrete la soddisfazione di sentirvi in forma come non mai.
Un secondo problema possono essere dei malesseri passeggeri. In Asia o in Africa, per quanto si faccia attenzione, bisogna mettere in conto qualche piccolo disturbo intestinale o anche una giornata che si vorrà dimenticare. Per fortuna, questi problemi sono solo piccoli inconvenienti rispetto a ciò che offre questa fantastica esperienza.
Per godersi le grandi montagne non c’è bisogno di essere atleti. Ogni trekker ha le sue caratteristiche, capacità e aspirazioni. Certo, è un’attività che richiede una certa forma fisica e un’attrezzatura adeguata, ma è alla portata della maggior parte delle persone. La cosa più importante è avere la predisposizione giusta, quella che permette di assaporare appieno l’esperienza: se si porta con sé la curiosità del viaggiatore e una buona dose di senso dell’umorismo, prima ancora di giungere alla meta si comincia già a pensare a quale trekking fare l’anno successivo. Credeteci, è l’esperienza diretta di chi scrive queste righe.
Persino arrivare al punto di partenza del trekking può già essere un’avventura: le strade vengono portate via da un fiume in piena o sono sepolte sotto una frana, le jeep si guastano, ma in qualche modo a calzare gli scarponi e a incontrare la carovana di cavalli, asini, yak o portatori che ci sta aspettando arriviamo sempre. La partenza è sempre un grande momento, ricco di emozioni. Allo staff di supporto spetta l’incombenza di trasportare tutto il necessario: tende, fornelli, stoviglie, provviste, tutto quel che può servire in due o tre settimane di isolamento dalla “civiltà”. Il trekker deve solo pensare ad alzarsi la mattina, sistemare le proprie cose nella borsa da affidare allo staff, preparare lo zaino con gli indumenti necessari per la giornata, godersi una colazione calda e mettersi in marcia. Con sulle spalle uno zaino leggero, la giornata può essere un tranquillo trasferimento lungo pascoli d’alta quota o un fiume di fondovalle, ma ci sono anche giorni più impegnativi, quando si esce dalla tenda nel gelo che precede l’alba per affrontare una lunga salita a un passo di oltre 5000 metri. Ma alla fine ci sarà sempre ad attenderci il campo, predisposto dallo staff che ha preceduto i trekker e avrà già preparato il tè e altre bevande calde e qualche snack, per ristorarci in attesa della cena. Poi, una lunga e piacevole serata a chiacchierare nella tenda comune, alla luce delle candele e delle lampade a gas, o semplicemente a godersi il fantastico cielo stellato, in quella cristallina oscurità che le nostre città ci hanno ormai negato.
Dopo una giornata di marcia, il meritato riposo (Lucky Camp, 4763 m, Ladakh)
Più alta è la quota, minore è la quantità d’ossigeno nell’aria e, di conseguenza, superiori sono le difficoltà per lo svolgimento delle attività fisiche. I trekking nelle grandi catene montuose del pianeta possono prevedere settimane continuativamente al di sopra dei 4000 metri. È possibile evitare tutti i malesseri dell’alta quota, dal semplice mal di testa alle affezioni più gravi, curando attentamente l’acclimatamento: un normale organismo sano ha soltanto bisogno di un po’ di tempo per adattarsi alle nuove condizioni. Bisogna prendersi tutto il tempo necessario e noi dedichiamo sempre qualche giorno all’acclimatamento o prima di cominciare a camminare (soggiornando in una località d’alta quota) o prendendo lentamente quota nei giorni iniziali del trekking.
Per maggiori dettagli sull’acclimatamento e altre questioni attinenti la salute, visita la pagina dedicata all’argomento.
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